Sogni d'oroWerein, la solitudine

Werein uscì sul terrazzo e si accese una sigaretta.

Era una di quelle giornate di primavera inoltrata nelle quali il vento caldo che proviene da sud gonfia le magliette di cotone senza arrecare nessun sollievo. Mentre guardava la strada sotto di sé iniziò a chiedersi dove era arrivato nel suo percorso e cercò di capire perché e in quale modo si sentiva annegare. Le voci della televisione accesa in cucina arrivavano lente al suo orecchio e nemmeno ci faceva caso. Il vento caldo alzava davanti ai suoi occhi migliaia e invisibili semi vegetali, polline, che gli procuravano un immane fastidio: ma quella sera fu un alibi che colse prontamente, pianse come un bambino strofinandosi gli occhi con le mani. Maledetto polline pensò. E pianse. Non comprendeva le ragioni della sua solitudine e indaffarato com’era a cercarsi da vivere e a raggiungere una sicurezza economica, tutte le volte che usciva di casa non poteva fare altro che chiudersi in sé stesso e ripetersi la stessa frase: “stai tranquillo Werein, nel giro di qualche tempo anche tu sarai tornato in un posto sicuro”.

Non poteva dire arrivato perché lui una volta era già stato felice e proprio per questo ora soffriva la solitudine più accesa: gli mancava la famiglia che lo aveva abbandonato dopo la sua seconda crisi legata all’alcol, e gli mancavano anche gli amici che lui stesso aveva prima trascurato e poi abbandonato subito dopo il matrimonio; ritornare al bar tra loro proprio adesso gli sembrava un atto da vigliacchi. Spesso era tornato in quel bar, ma sempre quando era certo che non avrebbe trovato nessuno; era fatto così, usava la solitudine per continuare a restare solo.

Ci sono milioni di persone nel mondo che non vedono l’ora di rincontrarsi con coloro che amano, ma lui dopo aver loro chiuso la porta non aveva più nemmeno il coraggio di tornare.

Werein era proprio così, nel salotto sopra il televisore aveva ancora una vecchia fotografia della moglie e dei figli, ma ormai non li vedeva da anni, né in fotografia né di persona e in un certo senso sperava che fossero tutti morti perché la sola idea di avere figli che non volevano visitare nemmeno il proprio padre lo faceva stare male. Erano ancora piccoli quando la madre li portò via. A lui non importò. Era ubriaco. Il vino, infatti, era stato il suo unico motivo di vita per lunghi anni e senza alcun motivo lo era ancora. Lo faceva svegliare la mattina con un mal di testa insolente e capriccioso e se lo portava con sé per tutta la giornata fino a quando la sera colorava i suoi buoni propositi con un’enfasi tale che crollava sul cuscino prima ancora che Werein potesse pensare di smettere. Era solo e non aveva più lavoro perché in tempi di crisi economica era stato licenziato: si preferì far lavorare coloro che avevano una famiglia, e lui una famiglia non l’aveva più. Per lui fu un duro colpo, ma ci bevve sopra dopo aver contato tutti i suoi risparmi; con i soldi che aveva avrebbe potuto permettersi una vita migliore, ma strinse la cinghia e preferì ancora l’alcol alla macchina nuova, e un piccolo appartamento alla vecchia casa dei suoi.

Dopo mesi, o forse anni, dettati dallo stappare bottiglie di vino (non fa caso allo scorrere del tempo, sa che comunque non si ferma mai), Werein ha la possibilità di cambiare di nuovo la propria vita; ha trovato lavoro e lunedì ricomincerà. Mi ricordo che un giorno l’ho visto uscire di casa e rientrare con il giornale sottobraccio: non sapevo che leggesse, ma poi ho capito che gli serviva per la data. L’altra sera l’ho visto che si provava dei vestiti eleganti; deve aver trovato un gran bel mestiere mi dico io. Speriamo che gli vada tutto per il meglio, almeno la smetterà di restare solo e forse non berrà nemmeno più. Werein buttò la sigaretta, ormai alla fine, giù dal terrazzo. Domani inizierà a lavorare, si è fatto la barba e con un po’ di fortuna non sarà più solo. E così io sarò di nuovo abbandonato al mio solo sguardo, che altro non vede se non fuori dalla finestra di questo stupido appartamento al secondo piano di una vecchia palazzina di periferia, aspettando che qualcuno finalmente venga a trovarmi.

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