Mi ricordo chiaramente quando sentivo le storie di paura stando seduto vicino ad un fuoco. Nessuno ci credeva. Forse nessuno voleva crederci solo perché la luce del fuoco ci proteggeva. Poi ci si alzava, ci si allontanava dal fuoco ed ecco che la paura prendeva il possesso delle nostre menti. Ci si sentiva piccoli, in pericolo. E da piccoli uomini che eravamo, ci si sentiva limitati. Mentre il fuoco, più piccolo di noi ci proteggeva dalle paure più grandi di noi.
Dobbiamo avere visto il fuoco. Da qualche parte, quella sera, nel bar attorno a noi tutti avevano paura, ma nessuno l’ha detto. Nessuno lo faceva notare. E allora noi, tutti insieme, ci proteggevamo a vicenda.
Che cosa sia successo non lo so. O meglio, lo so. Ma la mia mente l’ha idealizzato così tanto che nemmeno mi ricordo cosa successe per davvero. Mi ricordo che le sedie, gli sgabelli, erano di color marrone – come se fossero parte di un pezzo di legno vecchio. E il tavolo era uguale. Dietro di noi, intorno a noi, solo il caos di sconosciuti che probabilmente nascondevano i loro segreti. E le loro paure. Forse i loro segreti erano le loro paure. Mi ricordo che non guardavo l’ora. Era tutto buio. Fuori era buio.
Certo, c’era della luce da qualche parte. Qua e là, qualche fascio di luce tenue. E poi di luce ce n’era un’altra ma questa non posso raccontarla. Questa scavalcherebbe i limiti che ci siamo imposti. Ma una luce c’era e quella me la ricordo bene.
Forse non era fuoco dunque, ma luce. Sebbene simili, la luce ed il fuoco sono così diversi. Esattamente come sono diversi il buio e la luce. Anche se sono la stessa cosa. Il buio non esiste. La luce forse nemmeno. Ma una la vediamo. L’altra la vediamo. Così mi rendo conto che quella sera era buio. Ma in un modo o nell’altro ho visto la luce. O la luce mi ha colpito in testa. Bam.
Mi ricordo che ridevo. Mi ricordo che raccontavo un sacco di cose strane. Mi ricordo che queste cose strane ti facevano ridere. E allora devo aver pensato che fossi tu quella strana. O forse lo ero io. Mi ricordai per un istante che abbiamo vissuto insieme. Mi sembrava di parlare con un amico. Invece era un coinquilino. O meglio, un coinquilino che è diventato amico. E allora la definizione di coinquilino non valeva più. Esisteva un amico davanti a me. E questo amico rideva quando parlavo. E quando toccava a lui raccontare qualcosa, io ridevo.
Il tempo, quello che non si vedeva come il buio, scorreva indisturbato. Sarebbero bastati pochi secondi lo sai? Pochi minuti e tutto sarebbe tornato calmo come sempre.
Poi… Un raggio di luce ha aperto il tuo sorriso. E quel sorriso ha smesso di sorridere. È diventato un fascio di luce che lentamente si è chiuso. Lentamente è diventato qualcosa di diverso. Qualcosa che non avevamo mai visto prima. E non l’avevamo visto perché eravamo al buio. Il sorriso si è chiuso ed è diventato bacio. Un bacio con il colore delle tue labbra. Un bacio che ha scosso tutto il mondo intorno. Un bacio che è tornato sorriso dopo un istante.
Era giugno. Era l’inizio di giugno. Era solo pochi giorni fa. Non ti sembra passata un’eternità? Non ti sembra qualcosa che è sempre esistito? Lasciami dire che al mondo di cose strane se ne vedono. E che la gente viaggia per vederle. E che la gente si perde pur di raggiungerle.
E ancora che la gente prova sulla pelle alcune sensazioni che non sono mai paragonabili a niente che non finisca con un bacio nascosto in una sera di giugno. Non l’avevo mai notato. Era stato seduto vicino a me per mesi. E poi un giorno, senza nemmeno alzarsi dalla sedia, un bacio è caduto sulle mie labbra. Buio, luce, fuoco, paure, sorrisi e colore del legno.
Tutto questo creò un bacio. E un bacio mi fece scrivere queste poche righe. Queste parole che non sono mie. Sono uscite dalla tua bocca. Una alla volta.
Da sorriso a bacio. Da bacio a parole.