“Ho acceso la radio e ho messo un po’ di musica di sottofondo. Alla radio andava “Hope don’t fall in love with you” e nell’aria un giro di vuoto finiva sulle mie mani. Il peso di questo vuoto mi schiacciava le dita contro la tastiera. Il risultato di questa pressione: un’accozzaglia di parole nere su sfondo bianco. 

Notavo che le parole, le lettere, volavano su un livello differente rispetto al foglio bianco. E questo foglio nemmeno esisteva. Era inventato da un software, ed era appiccicato ad uno schermo che aveva tutti i colori del mondo. Questi colori finivano per mischiarsi tra di loro e creare uno sfondo bianco. 

Mi ricordo i tempi in cui studiavo fisica e avevo capito che tutti i colori mischiati tra di loro finiscono per creare il colore bianco. Cioè, non avevo davvero capito, ma sapevo che era così. Mi stupivo che il rosso, unito al verde ed al blu (e al giallo, etc.) finiva per diventare bianco. Io non ci credevo, ma poi ho ascoltato i Pink Floyd e sulla copertina di un loro album c’era un prisma di cristallo in cui entrava una luce bianca e da cui usciva un arcobaleno di colori.

Che cosa ci facesse un prisma sulla copertina di un album di una band musicale era impossibile capirlo. All fine dei conti, uno compra un album per ascoltarlo, mica per guardarlo. La musica, quella vera, è nascosta da qualche parte, ad un altro livello. Così come lo schermo che guardo adesso da cui esce la musica di “Comfortably numb”. Anche se io ci vedo solo le mie parole.

Forse tutte le musiche del mondo, unite tra di loro, creano il bianco. Chissà se esiste anche per i suoni la regola che vale per i colori. Forse, se smettessimo di pensare che i colori sono diversi dai suoni… Beh, forse allora riusciremmo a vedere il bianco. O ad ascoltarlo. Sì, meglio ascoltarlo. 

Così, un giorno, una nota sbalzò fuori dallo schermo e colpì il muro della stanza. Poi ritornò indietro. La raccolsi e la misi nero su bianco. Mi ricordo quando scrivevo di nascosto in biblioteca. Per donne a cui non ho mai consegnato le lettere. O per donne che stupivo prima di sparire per sempre dalla loro vita. Io vivevo ad un livello dal quale nessuno mi poteva togliere. 

Mi ero costruito, infatti, una specie di rocca che mi permetteva di vivere al di fuori della vita reale. Che poi, che cosa sia davvero reale, mica lo so. Quando mischio tutto, anche la mia vita diventa bianca. Io ero al bar. Io ero in università. Io ero in biblioteca. Io ero in macchina. Io, tutto insieme, non ero da nessuna parte: ero bianco. Mi serviva un prisma triangolare per fare uscire da me i colori che in me si nascondevano. 

Credevo fosse possibile farlo solo in biblioteca. In mezzo alle parole scritte da altri, le mie si nascondevano e nessuna vergogna poteva scalfirle. Lo sai cosa succede quando la vergona non c’è più? Succede che d’improvviso, inizio a parlarti e tu staresti delle ore a sentirmi. Forse, in quel momento siamo bianchi entrambi. O uniti, formiamo il bianco. Ma tu non sei qui adesso. Non so nemmeno se ci sarai mai. Ti sto scrivendo, è chiaro che ti vedo. Ma non ti vedo. Devi essere su di un altro livello. 

Eppure, sei tra queste parole, come una nota nera sul pentagramma bianco. Senza nome, ma importante. Un pezzo di musica. Che poi, anche la musica non funziona senza stare su diversi livelli. Tu la metti nero su bianco, ma poi uno strumento la deve suonare. Esiste la musica senza strumenti? O meglio, può la musica considerarsi tale se non è suonata? Non lo so. Ma una cosa la so. Che alcune note sono meglio di altre. E alcune parole sono meglio di altre. E alcuni colori, prima di scomparire nel bianco, sono meglio di altri. Almeno ai miei occhi. 

Ma gli occhi ingannano. Lo so, ne sono certo. A tutti piacciono cose diverse. E sì, ogni tanto non scegliamo quello che ci piace. Ma ci facciamo scegliere. Prendiamo quello che tutti prendono. O quello che tutti vogliono. O quello che tutti ignorano, perché non vogliamo lasciare qualcosa abbandonato nello scaffale di un supermercato. O forse, prendiamo quel che vogliamo, ma non sappiamo bene che cosa vogliamo. E questo, crea un po’ di confusione. 

Allora, vediamo di fare chiarezza. Io sono qui, scrivo nero su bianco. Ma i colori non esistono. E la musica che esce dallo schermo su cui scrivo, magari piace solo a me. Poi, mica la sto scegliendo. La musica viene scelta da un algoritmo che lavora di nascosto e mi propina quello che vuole. Io navigo a vista, sono in mezzo al mare e il mare sono le parole. Ma forse, è più corretto dire che il mare sia il foglio bianco e le parole nere sono un’ancora che mi guida da nord a sud. Da est a ovest. Non mi servono le stelle, il cielo può stare coperto. Il cielo è una coperta magica che cambia ogni istante. E noi siamo confusi. E non sappiamo cosa scegliere. Ed è normale, perché noi siamo adagiati su un livello differente. Siamo indaffarati a capire come funzionano le cose quaggiù. Ma se un mistero esiste davvero… Beh, deve essere da qualche parte dove tutti i colori finiscono per diventare blu come il cielo. Il tempo scorre veloce. Ecco, ci mancava pure il tempo. Come se i colori e i suoni non fossero abbastanza. 

Che poi aveva ragione Nietzsche a dire che ci vuole il caos dentro per generare una stella. Lo capisci? Una stella! Lo sai come si genera una stella? Con un’esplosione. Solo con un’esplosione. E un’esplosione non è nient’altro che un misto di colori, luce e suoni. Allora Nietzsche lo sapeva che esistono livelli diversi. Per forza. Aveva capito che quaggiù, con il caos dentro, una stella si poteva generare da qualche altra parte. Tutto succede all’altezza di due livelli diversi. O forse di più. Di sicuro, una stella, deve avere il suo cuore dentro. Lo stesso cuore che è esploso in una giornata di sole a Torino. Su quale livello fosse in quel momento è difficile dirlo. Ma il cavallo della leggenda era bianco. E bianco era il cavallo di Napoleone. E bianco è il cavallo delle favole. Ma forse, mica lo abbiamo scelto il bianco. Forse, il bianco è solo qualcosa ci porta all’idea più perfetta di cavallo. 

Sì, qua trasuda un pezzo di Platone. Lui e la sua maledetta idea che le idee sono perfette. O che almeno da qualche parte nell’iperuranio lo siano. Non mi ricordo più dove sono arrivato, né da dove sono venuto. Onestamente, non so nemmeno dove voglio andare. Ma davvero, nella vita, che probabilmente è su un livello sbagliato da dove dovrebbe essere, contano queste cose? Io penso che conti di più guardare i colori come fossero suoni. O ascoltare i suoni come fossero lampi di luce. E poi, lassù, una stella che esplode deve sempre esserci. 

Certo è che se non la vediamo con i nostri occhi questa stella Alla lunga va a finire che non ci si crede più. Io guardo il cielo quando posso. Mi fa sentire piccolo ed inutile. Ma non è una brutta cosa. Anzi, mi piace pure. Mi riporta a casa. Quando il cielo era diverso. Era pieno di speranze e sogni che ho ucciso. O semplicemente, ho portato su di un altro livello. 

Ero sempre lo stesso. Le stesse domande. Solo gli occhi che avevo dentro di me erano più miopi. Vedevo di meno. Un po’ sfocato. E poi scusa, tu eri su di un altro livello. Certo, non ti conoscevo nemmeno. Credo sia così che funziona la storia dei livelli. Quando una cosa non la conosci, si trova su di un altro livello. Quando una cosa la conosci, si trova su un livello che tu hai creato per lei. Se poi una cosa cambia valore, allora cambia livello. E allora, livello dopo livello, ci perdiamo in un mondo che non ci appartiene ma che sappiamo essere da qualche altra parte.”

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Anna finì di leggere queste poche righe e confusa guardo fuori dalla finestra. Che cosa voleva dire? La rilesse un’altra volta e i suoi dubbi non trovarono risposta. Quello che era scritto tra le righe era vero. Ma queste righe avevano la struttura di un libro confuso. Anna capì che qualcosa non tornava. O forse, era su di un altro livello. Si sdraiò sul letto e continuò a pensare che da qualche giorno a questa parte viveva in un universo parallelo. Cercò il cielo guardando fuori dalla finestra. Chissà, si chiese, se quel cielo fosse quello vero o se fosse stato quello dell’universo parallelo dove credeva di trovarsi. Chiuse gli occhi. Sentì una sensazione strana dentro di lei. Quella confusione… Quel caos… Forse una stella da qualche part del cielo stava per 

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